Luca Zingaretti, che aveva già diretto per la tv, al suo esordio al lungometraggio nel film tratto dall’omonimo e premiato romanzo d’esordio di Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi. Il film è stato presentato in anteprima alla Festa di Roma nella sezione Grand Public. “Quando ho incontrato la storia di Mencarelli si è accesa la luce - ha detto - perché racconta di cose che m’appartengono, contiene dentro la possibilità di fare un discorso più ampio su temi che mi stanno a cuore. La storia narra la rinascita di una persona, la sua straordinaria capacità di alzarsi, di mettersi i piedi e avviarsi verso la luce in fondo al tunnel. Parla della gestione del dolore, in una società algofobica che ha dimenticato che il dolore possiede la grande capacità della catarsi, che, unica, fa superare e andare oltre. Noi, come società, l’abbiamo demonizzato, ma non è un bene. Gioia e dolore fanno parte della stessa materia della vita, il dolore non si deve evitare, si deve accogliere come ingrediente necessario per la felicità”.
Protagonista Marco (Gianmarco Franchini), vent’anni e un'enorme capacità di sentire il dolore del mondo. Nell’alcool e nelle droghe cerca "la dimenticanza”, quello stato di anestesia e incoscienza impenetrabile a tutto, anche all’angoscia del vivere. Nelle sue dipendenze rincorre l'obiettivo di addormentarsi la sera non ricordando nulla, per sfuggire al dolore di quella eccessiva sensibilità che può distruggere. La madre è mancata da qualche anno, il padre, interpretato dallo stesso Zingaretti, è incapace di risolvere quella sofferenza del figlio, ma è capace di stare, di esserci sempre come atto di amore, pur nella sua impotenza a salvarlo.
Quando il ragazzo dovrà andare a lavorare nella cooperativa di pulizie del Bambin Gesù è convinto che questa esperienza, a contatto con i bambini malati, lo ucciderà. Ma non è così. Attraverso il lavoro, l'incontro con i colleghi, lo sconvolgente contatto con la malattia e la perdita dei giovani pazienti, troverà il suo modo di stare al mondo, di spezzare le catene delle dipendenze che ha usato per creare "un'onda morbida che smussa gli spigoli del dolore". Troverà la sua personale strada verso la luce, e con questa la voglia di ricordare.
“Marco è una persona con una sensibilità tale, con la pelle talmente sottile che basta un fiore per bucargliela”, ha sottolineato Gianmarco Franchini, che ha fatto il suo esordio da protagonista nell’ultimo film di Stefano Sollima, Adagio. “L’ho immaginato come un’anima pura da proteggere. Sentirlo dentro, a livello viscerale, è stato bellissimo, intenso, ma estremamente faticoso perché andava in luoghi molto profondi e buoi. Ma allo stesso tempo ci sono in lui luoghi molto lucenti e bianchi”.
Il film, che ha la certificazione di sostenibilità sul set Ecomuvi - è stato girato nel settembre 2023 a Roma e dintorni. Il Policlinico Umberto I, dove sono ambientate molte delle scene, si è trasformato nella finzione nel Bambin Gesù, il grande ospedale pediatrico romano in cui Marco inizia a lavorare nella cooperativa di pulizie. La produzione ha girato anche in esterni cittadini, nella Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, nei comuni di Marino, Ariccia e Santa Marinella.
“Ho voluto incentrare il racconto, come nel libro, nel seguire le inquietudini di un esser umano giovane, che corrisponde a quello che accade ai nostri giovani oggi, in cui si fa fatica a trovare un punto fermo. Anche perché appena lo si trova, già si è spostato. Il giovane, in ogni epoca, deve avere inquietudine, deve necessariamente ribellarsi allo status quo, tirare fuori le sue agitazioni, il suo bisogno di esser visto. Poi però ci sono dei periodi storici in cui questo viene reso drammatico da quello che il mondo sta vivendo. Negli ultimi tempi l’innovazione tecnologica è stata talmente veloce che non siamo stati capaci di trovare delle risposte, né politicamente né filosoficamente. Viviamo poi un momento di profonda crisi climatica e stiamo vicini a una grande migrazione. Questa è la prima generazione che non pensa che il loro futuro sia migliore di quello che hanno vissuto i loro padri, e credo che questo generi un’inquietudine molto forte e difficile da gestire”.
La casa degli sguardi - una produzione Bibi Film, Clemart con Rai Cinema e Stand by Me, prodotto da Angelo Barbagallo, Gabriella Buontempo e Massimo Martino - è anche un film sul lavoro che radica e identifica: “Noi ci definiamo attraverso ciò che facciamo nella vita - aggiunge Zingaretti - il potere salvifico del lavoro è nella definizione che ti dà. Che poi è il dramma, ancora più grande del disagio economico, di chi il lavoro non ce l’ha. Lo sappiamo bene noi artisti che facciamo questo mestiere, quando siamo a casa non sappiamo cosa siamo”.
(Carmen Diotaiuti)