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Trauma collettivo e esperienze di guerra nell’Italia in corto alla Berlinale

15-02-2025 Carmen Diotaiuti Reading time: 3 minutes

BERLINO - È prodotto dal toscano Leonardo Bigazzi per Tak Studioworks il cortometraggio After Colossus del regista e artista indonesiano Timoteus Anggawan Kusno, che qui riflette su alcuni passaggi oscuri della turbolenta storia dell’Indonesia, a partire dal crollo del regime autoritario di Suharto, nel 1999, un contesto immerso in un’isteria di massa attorno alle uccisioni di presunti stregoni, di cui esplora il trauma collettivo. 

Il corto, in Concorso a Berlinale Shorts e già passato alla scorsa edizione de 'Lo schermo dell'arte' di Firenze, mette al centro della narrazione la scoperta fatta da un gruppo di ricercatori di alcuni documenti misteriosi: rapporti inquietanti, fotografie enigmatiche, registrazioni frammentate che rivelerebbero un progetto militare segreto in cui i bambini delle zone rurali venivano prelevati e sottoposti a esperimenti e indottrinamenti.

Per ricostruire nel film il contenuto venuto alla luce, il regista si avvale di molteplici formati, dal Super 8mm al 35mm digitale, a immagini generate dall’intelligenza artificiale sulla base di reali archivi fotografici storici e familiari. After Colossus è prodotto da Lo schermo dell'arte con Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato con il supporto di Visio Production Fund, coprodotto da TAK Studioworks.

Prekid Vatre

Realizzata da Germania, Italia e Slovenia, l'altra opera di coproduzione italiana tra le 20 selezionate a Berlinale Shorts 2025: il corto documentario di Jakob Krese Prekid Vatre che, nel trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica e della fine della guerra nell’ex Jugoslavia, rende omaggio a coloro che ancora oggi portano cicatrici durature di quel conflitto.

La protagonista, Hazira, sopravvissuta al massacro, vive da quasi 30 anni nel campo profughi di Ježevac. Una vita sospesa, scandita da monotoni rituali di sopravvivenza: raccogliere legna, pulire ossessivamente, affrontare le dure condizioni della vita nel campo. In un mondo che sembra aver già dimenticato l'esperienza della guerra e coloro che ancora oggi sono costretti a farci i conti da vicino.

“Con questo film, voglio esprimere la mia indignazione per il fatto che le persone vivono ancora in un campo profughi nel mezzo dell'Europa, 26 anni dopo la guerra - denuncia il regista - La storia della Jugoslavia è parte integrante della storia europea, e il violento nazionalismo che un tempo era emerso apparentemente dal nulla sta ora riemergendo anche in altre parti d'Europa”.