Un rito di iniziazione si consuma nella periferia milanese a suon di sangue, rap, reggaeton e alcol all’interno della gang sudamericana dei pandilleros della Misa. Si apre così Blocco 181, serie in otto episodi, in onda su Sky dal 20 maggio, ambientata tra le comunità multietniche della Milano odierna, di cui è già stata annunciata la seconda stagione. Una crime story che contiene anche un triangolo d’amore, libero e passionale. Un racconto di emancipazione sentimentale, familiare, sessuale e criminale, in una Milano le cui torride periferie sono terreno di conquista per bande in guerra per il potere, sullo sfondo del “Blocco”, un imponente complesso edilizio ai margini della città. Un fazzoletto di periferia abbarbicato su un alveare di appartamenti abusivi e terreno quotidiano di sguardi truci e sospetti. “Quella che si vede sullo schermo non è la solita Milano della moda e della finanza, ma la Milano delle periferie che bruciano, poco associate all’immagine classica della città”, sottolinea Antonella D’Errico di Sky.
Protagonisti tre ragazzi che provengono da realtà differenti e che, con il loro legame anomalo e libero, sfidano le regole di appartenenza delle relative famiglie: Bea (Laura Osma), sensuale e indomita ragazza latino-americana divisa tra la fedeltà alla sua famiglia, la Misa, e la voglia di cambiare vita; Ludo, interpretato da Alessandro Piavani (Blanca, La Mafia Uccide Solo d’Estate – La serie), alto-borghese milanese, festaiolo compulsivo e amante dell’amore libero; e Mahdi, al secolo Andrea Dodero (The Good Mothers, Non Odiare, L’Allieva), ragazzo del Blocco di origini nordafricane, nato e cresciuto tra le diroccate vie di periferia. Due amici di diversa estrazione sociale, uniti come fratelli. Blocco 181 vede anche il debutto, in un ruolo inedito, del pioniere del rap italiano Salmo, che della serie è supervisore e produttore musicale, produttore creativo, ma anche attore, nei panni di Snake, freddo, silenzioso e armato braccio destro di Lorenzo, impegnato nel business della coca. Il rapper sta anche scrivendo il suo primo film, un racconto ispirato a una storia vera avvenuta negli Anni ‘90, che sarà “davvero pericoloso anche solo portare alla luce”, assicura.
Alla regia Giuseppe Capotondi (Suburra – La serie, La Doppia Ora) con Ciro Visco (Gomorra, Non mi lasciare, Doc – Nelle tue mani) e Matteo Bonifazio, che ci tengono a sottolineare di non aver voluto seguire un approccio documentaristico o neorealista, che potesse esprimere una posizione rispetto al disagio delle periferie della città. "La serie è una favola nera, una storia d’amore su un innesto crime molto duro, verosimile ma non vera. La nostra periferia è stata ricreata mettendo insieme diverse periferie milanesi”.
Sono oltre cento, infatti, tra ambienti interni ed esterni, le location meneghine utilizzate, in una Milano dove la periferia e il centro si compenetrano, le distanze sono brevi e la cocaina è un legame che tiene insieme tutto. Ma quello che viene raccontato è una periferia e un centro “ideali”, rappresentate volutamente per non essere geograficamente riconoscibili. Piuttosto, un collage verosimile di zone differenti, in cui lo stesso Blocco è la somma di palazzi e strade di diversi quartieri lontani tra loro, e centro e periferia sono, in alcune scene, rappresentati molto più vicini di quanto siano nella realtà. “Approcciare dal punto di vista delle ambientazioni Blocco 181 ha significato trovare, nel corso di mesi di lavoro che ci hanno visti battere la città da cima a fondo, un punto di equilibrio che tenesse conto di fattori eterogenei ed apparentemente in contrasto tra di loro: una sintesi visiva in bilico tra street culture, pop culture, neorealismo e cinema di genere, uscendo dai cliché di una città come Milano che negli ultimi anni è stata spesso filmata in modo univoco, piatto, come un grande Business Center fatto di vetro”, sottolinea uno dei location manager, Marco Bergamaschi. “Blocco 181, nell’ampiezza e grande varietà di location che vi sono rappresentate si infila come un ago nelle vene di una città sotterranea “connessa” tra Centro e Periferia, una città la cui geografia è stravolta ma coerente, geometrica e aggraziata nello stesso tempo, una città priva di punti di riferimento che non siano quelli strettamente ancorati alla storia ed alle vite dei personaggi che della serie sono i protagonisti; una Milano che si muove, brulicante di genti diverse, ciascuna con la propria cultura ed il proprio background (in questo senso la rappresentazione del quartiere è straordinaria) uscendo così dalla trappola di “città cartolina” che spesso si è vista in passato. Il risultato di questo intenso lavoro è che il tessuto urbano non rappresenta un mero sfondo rispetto alle vicende narrate, bensì viene amalgamato ad esse, fornendo spunti per diversi piani di lettura su diversi livelli”.
Dal 16 al 29 maggio in Corso Vittorio Emanuele a Milano una mostra temporanea permette di ammirare le foto di scena della serie, realizzate da Gabriele Micalizzi, uno dei fotoreporter di guerra più noti e apprezzati al mondo.
(Carmen Diotaiuti)