Tornano a esplorare la provincia italiana i fratelli D’Innocenzo, con il loro nuovo America Latina, nelle sale dal 13 gennaio dopo il passaggio in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia. Un thriller, che è insieme una indagine antropologica che mette la famiglia al centro, in cui la ‘Latina’ del titolo rivela tutta l'ambigua ambientazione del film: un territorio fatto di paludi, bonifiche, centrali nucleari dismesse, umidità; che è anche 'America', terra di sogno, di vittorie e successo ostentato. Lì vive il protagonista Massimo Sisti, che ha il volto del bravo Elio Germano, dentista affermato, professionale, gentile, pacato. Massimo ha conquistato a Latina il suo sogno, tutto ciò che poteva desiderare; ha trovato, insomma, la sua "America". Vive in una enorme villa, dal design improbabile e un po' "sghembo", come lo definiscono i registi, immersa nella quiete della campagna, insieme alla famiglia - moglie e due figlie - che ama e ammira e che lo accompagna nello scorrere tranquillo dei giorni, dei mesi e degli anni. Fino a quando l’imprevedibile irrompe a sconvolgere la sua calma imperturbabile, sotto forma di una terrificante scoperta fatta nella cantina di casa, che innesca tutta la vicenda narrata, e che rivela, man mano, le profonde inquietudini nascoste dietro quella facciata di perfezione, che si sgretola mostrando, inesorabile, tutte le sue crepe. Come il cranio rasato del protagonista che campeggia sulla locandina del film, alludendo nelle forme a un uovo appena rotto.
Location principale è, appunto, la villa con piscina dove vive la famiglia, una sorta di cattedrale nel deserto, dalle geometrie irregolari, che si trasforma in un labirinto claustrofobico, in cui le ombre prevalgono e il sotto (della cantina) si contrappone al sopra, quasi a siglare la dualità che regna e si rivela nella mente di Massimo. Una costruzione realmente esistente, che i registi hanno scelto tra quelle visionate e poi scartate dal location manager del film, perché rappresentava bene, secondo loro, il lato imperfetto e fragile del protagonista.
"Massimo è in crisi, una modalità di vita che riguarda tutti quando ci rendiamo conto che siamo diversi rispetto al ruolo da rappresentare. Un ruolo maschile che deve essere sempre un modello vincente per la società, bisogna essere performanti e in questo senso chi non ci riesce si allontana", sottolinea Elio Germano, che prosegue: "E' la storia di una ferita che si allarga sempre di più, di una vulnerabilità che è, però, essa stessa umanità. Possiamo ritrovarci un po' tutti in questo contrasto, un bipolarismo tra la nostra fragilità, sensibilità e quello che ci viene richiesto dalla società. Massimo fa un viaggio dentro se stesso, nel suo abisso, nella sua palude, nell'orrore nascosto sotto al tappeto. Per ritrovare la sincerità nell'estremo dolore".
America Latina è "una fotografia impietosa del maschio, senza voler dare giudizi sul personaggio - aggiunge uno dei registi, Damiano D'Innocenzo - è la mascolinità tossica che viene fuori, di cui siamo vittime e carnefici al tempo stesso".
(Carmen Diotaiuti)